Onorevoli Colleghi! - A distanza di molti anni dall'entrata in vigore della cosiddetta legge «Merlin» (legge 20 febbraio 1958, n. 75), è tempo di riavviare un dibattito politico-culturale sulla necessità di regolamentare l'esercizio dell'attività della prostituzione, passando da una politica della «tolleranza» ad una politica della «sanzione». Al riguardo, infatti, nel rispetto della Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione, adottata a New York il 21 marzo 1950, resa esecutiva ai sensi della legge 23 novembre 1966, n. 1173, che considera «la prostituzione e il male che l'accompagna, vale a dire la tratta degli esseri umani ai fini della prostituzione, (...) incompatibili con la dignità ed il valore della persona umana» (Preambolo), occorre impedire che il diritto alla libertà di prostituzione sia garantito a scapito di fondamentali interessi della collettività, primo fra tutti quello relativo alla necessità di preservare l'ordine sociale attraverso la rigida collocazione di questa attività nell'ambito esclusivo della sfera privata di chi la esercita.
      Pertanto, come è stato anche evidenziato da un'attenta dottrina: «L'ipotesi di introdurre nel nostro ordinamento il divieto di esercitare la prostituzione in luogo pubblico ed aperto al pubblico, con conseguente

 

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regime sanzionatorio da applicare anche ai clienti che comprano la "merce", può considerarsi, senza alcun dubbio, valida, dovendo rientrare nella non secondaria preoccupazione del legislatore quella di impedire che i comportamenti propedeutici all'esercizio della pratica sostanziale della prostituzione si esteriorizzino sotto forma di incontro tra domanda ed offerta (si tratterebbe di sanzionare l'illecito a consumazione anticipata commesso in luogo pubblico ed aperto al pubblico)» (si veda Roberto Alesse, «Prostituzione: legalizzazione dell'attività o condanna di ogni forma di speculazione?», in Quaderni costituzionali, n. 4, dicembre 2002, pagina 801).
      Allo stesso modo, il problema su cui concentrare la massima attenzione è quello rappresentato dalla stessa realtà della prostituzione, nella quale chi la esercita non è, normalmente, libero come un comune lavoratore autonomo, ma assoggettato al turpe potere degli sfruttatori di turno. Da qui, l'esigenza di inasprire le sanzioni penali per chi commette gli esecrandi delitti di reclutamento, induzione, agevolazione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, ma anche di prevedere forti interventi di recupero sociale a favore di chi, indotto a prostituirsi mediante violenza o minaccia, collabori, in modo significativo, con l'autorità giudiziaria nelle indagini concernenti i delitti relativi alla «riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù».
      Passando, ora, ad una disamina tecnica della presente proposta di legge, si evidenzia che, con l'articolo 1, comma 1, sono introdotti all'articolo 1 della citata legge n. 75 del 1958, ulteriori commi, con i quali si sancisce il divieto di esercizio della prostituzione in luoghi pubblici o aperti al pubblico. La violazione di tale divieto comporta la condanna al pagamento di una somma di denaro a titolo di sanzione amministrativa, mentre, in caso di reiterazione, tale comportamento assume natura di illecito penale punito con l'arresto da cinque a quindici giorni e con l'ammenda da 300 a 2.000 euro.
      In considerazione, tuttavia, del forte collegamento esistente tra la prostituzione su strada e il fenomeno della tratta delle persone finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, è stata prevista - allo scopo di impedire la criminalizzazione di persone che, in realtà, sono già vittime di gravi violenze - una specifica causa di non punibilità, che esclude l'applicazione della sanzione nei confronti di chi, mediante attestazione di specifici e riscontrabili elementi, dimostri di essere stato costretto a prostituirsi contro la sua volontà.
      Per rendere, inoltre, effettivo il divieto di esercizio della prostituzione in luogo pubblico o aperto al pubblico, si è deciso di punire con la sanzione amministrativa pecuniaria e, in caso di reiterazione, con l'ammenda, anche il comportamento di chi si avvale o compie atti idonei diretti ad avvalersi delle prestazioni sessuali offerte da soggetti che esercitano la prostituzione nei luoghi in cui questa è vietata.
      La «legge Merlin», inoltre, è stata modificata con riferimento ad ipotesi criminose (quale quella del favoreggiamento della prostituzione) che, già nell'applicazione giurisprudenziale, si sono rivelate estremamente rigide, ma che, soprattutto a seguito della prevista introduzione del divieto di esercizio della prostituzione in luogo pubblico o aperto al pubblico, sono apparse eccessivamente rigorose nell'individuazione del potenziale ambito di applicazione.
      Si tratta, in particolare, della disposizione che prevede la non punibilità, per il reato di cui all'articolo 3, primo capoverso, numero 8), della stessa legge n. 75 del 1958, delle attività di reciproca assistenza, senza fini di lucro, tra soggetti che esercitano la prostituzione, e ciò allo scopo di agevolare forme di solidarietà che possano aiutare chi si prostituisce a non cadere vittima di situazioni di sfruttamento.
      Inoltre - anche in questo caso, allo scopo di attenuare eccessive rigidità interpretative che hanno ritenuto integrato il reato di favoreggiamento della prostituzione, indipendentemente dalla sussistenza di un intento speculativo - si è prevista, come penalmente irrilevante, la locazione per civile abitazione di un appartamento
 

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nel quale si eserciti la prostituzione a condizione, tuttavia, che non se ne ricavi un indebito profitto, rimanendo, altrimenti, integrato il reato di sfruttamento della prostituzione. In tali casi, è stato previsto che nei regolamenti condominiali possono essere inserite a maggioranza qualificata disposizioni che vietano o limitano l'esercizio della prostituzione negli immobili. Il danno derivante in termini di perdita di valore degli immobili potrebbe, dunque, in molti casi, essere evitato nelle forme di legge.
      L'articolo 2 della presente proposta di legge introduce nel codice penale l'articolo 590-bis, con il quale si prevede che il giudice chiamato a decidere su casi di omicidio colposo o di lesioni personali colpose - quando la morte o la malattia siano state provocate da agenti patogeni trasmessi sessualmente da un soggetto che eserciti abitualmente la prostituzione - debba tenere conto, quale elemento di valutazione della sussistenza e del grado della colpa, anche dei controlli clinico-sanitari effettuati dal soggetto sottoposto a procedimento penale.
      Si ritiene, in tale modo, di aver dato adeguata rilevanza giuridica al problema, certamente non trascurabile, del rischio di contagio di malattie sessualmente trasmissibili da parte di chi esercita la prostituzione. In altri termini, si è evidenziata l'opportunità di eseguire periodici controlli sanitari, senza tuttavia renderli obbligatori per legge. Tale ultima soluzione non è, infatti, percorribile ponendosi in aperto contrasto con quanto contenuto nella citata Convenzione del 1950, che impone alle Parti «di prendere tutte le misure necessarie per abrogare o abolire tutte le leggi, i regolamenti e le pratiche amministrative secondo le quali le persone che si impegnano o sono sospettate di impegnarsi nella prostituzione devono farsi iscrivere su dei registri speciali, possedere dei documenti speciali, o conformarsi a condizioni eccezionali di sorveglianza o di notifica» (articolo 6).
      Ulteriori modifiche al codice penale si sono rese necessarie per modificare il trattamento sanzionatorio di condotte criminose già previste nell'ordinamento, ma per le quali, in considerazione della loro gravità, si è ritenuto necessario inasprire le pene.
      L'articolo 3 della presente proposta di legge introduce l'ipotesi criminosa dell'associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, per la quale si prevede un aumento fino a due terzi delle pene attualmente previste per l'ipotesi delittuosa associativa comune.
      L'articolo 4, invece, risponde all'esigenza di arginare il fenomeno, sempre più diffuso, della prostituzione minorile. Ne discende la necessità di modificare l'articolo 600-bis del codice penale, nel senso di non considerare come giustificazione l'ignoranza dell'età dello sfruttato da parte del cliente. L'ordinamento prevede da molti anni la punizione penale del cliente, ma la relativa norma è stata sistematicamente vanificata dal fatto che coloro che erano accusati di tali delitti potevano invocare a propria scusante l'ignoranza dell'età della persona offesa.
      L'articolo 5 della presente proposta di legge, allo scopo di incentivare forme di collaborazione con la polizia giudiziaria e con l'autorità giudiziaria, estende le misure di protezione previste dal capo II del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, anche alle persone che collaborano in modo significativo nelle indagini concernenti la prostituzione minorile o le organizzazioni criminali di stampo associativo dedite alla commissione di reati volti al reclutamento, all'agevolazione, al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione. In tale prospettiva, sono stati rafforzati gli strumenti di finanziamento per l'attuazione dell'articolo 18 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, con un apposito stanziamento aggiuntivo.
      Al comma 3 dell'articolo 5, infine, è previsto che le questure segnalino ai servizi sociali territorialmente competenti i cittadini stranieri indotti a esercitare la prostituzione allo scopo di favorirne, in condizioni di maggiore sicurezza, il ritorno nei Paesi d'origine.
 

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